Di questo legno storto che sono io. Irene Paganucci

14 agosto 2013 § Lascia un commento

Non c’è tramonto se dopo andiamo al cinematografo.
[Elio Pagliarani]

 

Il libro di Irene mi è arrivato a casa mentre non c’ero. Ho trovato l’avviso nella cassetta della posta: era scritto in un tedesco talmente tedesco che sembravano in tedesco anche i numeri. L’ho recuperato ieri sera, nell’unica posta aperta fino alle 21, quella di Westbahnhof che è un po’ come fare un giro a Porta Nuova, con la biglietteria che sparisce in mezzo ai negozi. Da casa mia dista una decina di minuti a piedi.
Me lo sono letto tornando a casa, anche se non si fa, che si è distratti dai semafori e non si vede chi passa. Ma qui io non rischio di incontrare gente che conosco e allora posso permettermi certe villanie, tanto la mattina dopo non c’è nessuno che viene a recriminare saluti non ricambiati. L’ho letto tutto. Mi sono appoggiata alla vetrina del parrucchiere sotto casa per non lasciar le ultime quattro poesie da leggere dopo, chissà poi dopo quando.

Oggi sono andata a consegnare un pacco e trenta euro ad un tizio serbo che doveva arrivare su una Opel Zafira al capolinea di Siebenhirten. Tutto regolare, avevo con me delle robe da firmare e far firmare. Però il tizio era in ritardo quei quaranta minuti, che poi sono diventati sessanta, e allora a furia di caffettini e periferia stavo morendo di nostalgia. Che fare? Niente, mi sono detta, Caro stai lì e aspetta. Ce l’ha mai te il tempo di stare e aspettare? No, mai. Non so bene come si aspetta. E allora ecco che avevo in borsa il libro di Irene, da rileggere tutto, di nuovo, da seduta questa volta, con un sacco di tempo da perdere.

Ecco, io di poesia non ne so niente. Ma Irene sì. Quello che scrive è poesia, ed è così cristallino che non serve verificarlo da nessuna parte. Va a capo quando chi legge – sente – va a capo. Respira quando chi legge – sente – respira. Sorride, spesso lo fa gettando la testa all’indietro proprio come viene da fare a chi legge – sente. Altre volte indaga, ma poi si stanca e chiude bottega, come a dire che importa, alla fine importa a me e se a te non importa non è mica un dramma. Sono felice di essermi imbattuta in questo libro, piccolo e intimo. Di quell’intimità che vale per un mucchio di persone. L’ho scovato grazie agli amici de La Balena Bianca che sono attenti alle cose buone e Di questo legno storto che sono io (così si intitola il libro di Irene) è una delle cose più buone che mi siano capitate negli ultimi mesi.

Qui sotto riporto una delle poesie di Irene, la mia preferita per ora, anche se le preferenze sono precarie e scadono non appena ci si appresta a leggere di nuovo. La poesia si intitola:

Il coraggio l’hai preso dal mare

Il coraggio l’hai preso dal mare, al
porto, giù in spiaggia – le mani al riparo
dal freddo – il fiato d’un «Dai, dammi un bacio»,
l’insistere dell’onda a suggerirti
il convergere, l’incastro incosciente
dell’acqua nella falla, delle nostre
labbra. Che poi non fu tanto un baciare
quanto un combaciare.

Irene Paganucci, Di questo legno storto che sono io, Marco Saya Edizioni, pag. 40, euro 7.00.

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